Il mercato del lavoro statunitense sorprende grazie agli “statali”
Ecco tutte le novità sui mercati finanziari della settimana.
Le notizie principali
Il G7 ha concordato una deroga temporanea per escludere le aziende USA dalla global minimum tax del 15%, cercando di evitare le ritorsioni promesse da Trump. L’intesa, però, solleva dubbi legali internazionali.
A giugno l’economia USA ha creato 147.000 posti di lavoro, battendo le attese e rafforzando il dollaro. Il report riduce le chance di un taglio dei tassi a breve, nonostante le pressioni di Trump.
Trump ha annunciato un accordo commerciale con il Vietnam, riducendo i dazi al 20% ma mantenendo un 40% su esportazioni sospette. L’intesa rafforza Hanoi ma solleva timori su possibili abusi futuri.
In UK Rachel Reeves è finita sotto pressione dopo lo stravolgimento della riforma che ha annullato 5 miliardi di risparmi per lo Stato. Apparsa in lacrime in Parlamento, rischia ora di dover aumentare le tasse.
La settimana passata
Questa settimana di contrattazioni si è conclusa in modo positivo per i principali indici americani: Il Dow Jones è salito del 2.3%, complice anche il normalizzarsi del prezzo del petrolio e gli accordi sui dazi, mentre il S&P500 e il NASDAQ sono cresciuti rispettivamente del +1.7% e del +1.6%.
Durante l’ultima riunione dei paesi del G7, che riuniscono le principali democrazie industrializzate, tra cui l’Italia, i membri hanno trovato un compromesso per escludere temporaneamente le imprese statunitensi dall’applicazione della tassa minima globale del 15% sui profitti delle multinazionali, nota come global minimum tax.
Si tratta di un tentativo di evitare ulteriori ritorsioni da parte dell’amministrazione Trump, che aveva minacciato l’introduzione di "revenge taxes" contro le aziende straniere attive sul mercato americano.
La tassa minima globale, introdotta nel 2023 dopo un lungo negoziato internazionale avviato nel 2021 sotto l’egida dell’OCSE, fissa un’aliquota minima del 15% sui profitti delle grandi multinazionali.
L’obiettivo della riforma era quello di contrastare l’elusione fiscale portata avanti da numerose aziende tech, che attraverso un trasferimento di sede in un paese a bassa imposizione (come Irlanda o Lussemburgo) riuscivano ad abbattere il carico fiscale effettivo.
Non è ancora del tutto chiaro come verrà applicata questa deroga riservata alle aziende americane, che è stata definita una “soluzione parallela” rispetto al quadro multilaterale coordinato dall’OCSE.
L'accordo ad oggi coinvolge infatti solo i membri del G7 (Canada, Stati Uniti, Giappone, Regno Unito, Germania, Francia e Italia) e non tocca formalmente l’impianto della tassa nei numerosi altri Stati che la stanno applicando.
La global minimum tax è infatti frutto di un’intesa siglata da oltre 130 Paesi, e non è ancora chiaro se l’accordo del G7 potrà essere messo in pratica senza un nuovo consenso collettivo, o se verrà invece considerato come una violazione degli standard OCSE.
Il mercato del lavoro statunitense sorprende grazie agli “statali”
Giovedì sono stati pubblicati i dati di giugno del mercato del lavoro americano, che sorprende ancora. A giugno sono stati creati 147.000 nuovi posti di lavoro, un dato superiore sia alle previsioni degli analisti (110.000) che alla rilevazione di maggio, rivista al rialzo a 144.000.
Nonostante il contesto politico incerto e le pressioni su commercio e immigrazione, l’occupazione regge bene, spingendo gli investitori a rivedere al ribasso le aspettative su imminenti tagli dei tassi, considerando anche che Powell aveva glissato di fronte alla domanda di un giornalista, che gli chiedeva se luglio poteva essere la data per un primo taglio.
Il tasso di disoccupazione è leggermente sceso al 4.1%, ma non per un reale aumento degli occupati: il calo è dovuto principalmente all’uscita di alcune persone dal mercato del lavoro, un segnale da non sottovalutare.
Il rapporto ha avuto effetti immediati sui mercati: il dollaro si è rafforzato e il rendimento del Treasury a 2 anni è salito. Le scommesse su un taglio a luglio sono scese a circa il 5%, contro il 25% precedente. Anche l’ipotesi di un allentamento monetario a settembre inizia a vacillare.
Trump continua a esercitare pressioni pubbliche sulla Fed, lamentando che il ritardo nell’abbassare i tassi abbia avuto un impatto economico negativo per il Paese, e arrivando a chiamare “stupido” il presidente della Fed.
Ma il report di giugno rafforza la posizione della banca centrale nel mantenere i tassi invariati almeno nel breve termine.
Gran parte della crescita occupazionale si è concentrata nel settore sanitario e in un inatteso aumento dei dipendenti pubblici a livello statale, dopo due anni di crescita contenuta. Il governo federale continua a ridurre l'organico, con un calo netto di 69.000 posti da gennaio, in linea con il piano di contenimento della spesa.
Secondo alcuni esperti, l’impennata nei posti statali spiega in buona parte il superamento delle attese. Quindi sebbene il report sia migliore del previsto, è meno brillante di quanto possa sembrare a una prima lettura.
Il Vietnam sigla il secondo accordo sui dazi
Donald Trump aveva annunciato che avrebbe raggiunto 90 accordi in 90 giorni sul fronte dei dazi. Fino alla settimana scorsa ne aveva firmato uno solo, quello con il Regno Unito, che vi avevamo già descritto in una precedente newsletter, e che ci sembrava più un accordo politico, che commerciale.
Questa settimana è stato annunciato il secondo accordo, tra Stati Uniti e Vietnam, con una riduzione significativa dei dazi USA sulle importazioni vietnamite, fissati ora a un livello base del 20%.
Una percentuale ancora elevata, ma decisamente inferiore rispetto al 46% imposto ad aprile durante la cosiddetta “tariff blitz”, e superiore al 10% temporaneo concesso per agevolare il negoziato.
Sul piano pratico, gli Stati Uniti manterranno una tariffa del 40% per contrastare il “trans-shipment”, ovvero la pratica (spesso illegale) di riesportare beni cinesi attraverso Paesi terzi per eludere i dazi (in questo caso il Vietnam).
Il paese non solo è un canale privilegiato per merci cinesi mascherate da esportazioni vietnamite, ma è diventato anche la meta per delocalizzare la produzione per molte aziende americane, dopo la prima presidenza Trump.
Secondo i media di Stato di Hanoi, le due parti hanno raggiunto un “quadro commerciale reciproco equo e bilanciato”, ma senza fornire dettagli tecnici sull’applicazione delle nuove tariffe.
Per il Vietnam, trovare un accordo con gli Stati Uniti era di vitale importanza: quasi il 30% delle sue esportazioni è diretto al mercato statunitense.
Colossi come Apple, Samsung e Nike hanno spostato parte della produzione nel sud-est asiatico, rafforzando il ruolo strategico di Hanoi nelle catene globali.
Secondo i dati ufficiali, nel 2024 gli USA hanno esportato in Vietnam beni per 13,1 miliardi di dollari, ma ne hanno importati per oltre 136 miliardi. L’enorme squilibrio commerciale ha spinto l’amministrazione Trump a imporre dazi elevati.
Non avendo informazioni più dettagliate, resta da capire come verrà implementato il meccanismo a due livelli di dazi: 20% per le esportazioni regolari, 40% per quelle sospette di trans-shipment.
Il rischio (con Trump) è che i dazi del 40% possano essere in futuro usati come minaccia per ottenere ulteriori concessioni, inserendo merci regolari tra quelle sospettate di trans-shipment.
Il motivo di queste preoccupazioni è anche legato alla difficoltà del Vietnam di monitorare efficacemente le filiere produttive, distinguendo tra componenti trasformati legalmente e semplici “riconfezionamenti”, difficili da tracciare ma molto diffusi.
L’accordo arriva a poche ore da nuove minacce di Trump nei confronti del Giappone, con cui non si è ancora raggiunto un accordo. Un segnale che, dopo il Vietnam, Washington potrebbe passare rapidamente ad altri tavoli, con un approccio sempre più aggressivo.
Quanto costa una lacrima
Chi non si ricorda le lacrime della Fornero durante il governo Monti? Quando un alto rappresentante del governo piange, probabilmente la situazione del paese è particolarmente grave.
In UK è appena successo un fatto simile a quello vissuto da noi italiani: Rachel Reeves, attuale cancelliera del Tesoro britannico e prima donna nella storia a ricoprire questo ruolo, è finita al centro del dibattito politico e mediatico dopo un momento di forte tensione alla Camera dei Comuni.
Durante la seduta, Reeves è apparsa visibilmente commossa, mentre il primo ministro Keir Starmer evitava di confermare pubblicamente che avrebbe mantenuto il suo incarico fino alle prossime elezioni, come precedentemente promesso.
L’episodio scatenante è stata una votazione sulla riforma del welfare. Nonostante l’approvazione del provvedimento, 49 parlamentari laburisti si sono ribellati, costringendo il governo a introdurre concessioni che hanno praticamente azzerato i risparmi previsti di 5 miliardi di sterline, per le casse dello Stato.
Per Reeves si tratta di una sconfitta politica, dopo aver puntato su quei tagli per tenere in equilibrio i conti pubblici senza alzare le tasse. Reeves viene anche duramente attaccata per l’andamento zoppicante dell’economia britannica.
Le ripercussioni si sono fatte sentire anche sui mercati, con la sterlina che ha perso oltre l’1%, per poi recuperare il giorno successivo.
Successivamente, il primo ministro Starmer ha cercato di calmare le acque dichiarando alla BBC che Reeves ha fatto “un lavoro eccellente” e resterà in carica “per molto tempo”.
La nomina di Reeves era volta a rassicurare i mercati dopo gli scossoni dell’era Truss. Ha escluso aumenti di tasse per i lavoratori, puntando tutto sulla disciplina della spesa.
Questa linea di principio è piaciuta agli investitori e al Fondo Monetario Internazionale, ma non ai laburisti, dove cresce il malcontento per l’apparente sacrificio delle priorità sociali del partito.
La sua figura sembra essere il parafulmine per le scelte impopolari del governo britannico, tra cui rientra l’accordo con gli Stati Uniti.
Nel 2023 Reeves aveva già sorpreso il mondo economico con un aumento delle tasse sul lavoro, colpendo le imprese per finanziare la spesa pubblica. Oggi, dopo il flop del piano di risparmio sul welfare, gli economisti temono nuove imposte, per le quali potrebbero servire tra le 10 e le 15 miliardi di sterline.
Reeves ha poco margine di manovra. I suoi piani si basavano su previsioni ottimistiche che stanno venendo meno: basta un rallentamento della crescita o un’inflazione più alta per erodere ogni riserva.
La settimana che verrà
Calendario Economico
La prossima settimana non avrà eventi particolarmente rilevanti, eccezion fatta per i verbali FOMC che verranno pubblicati mercoledì come di consueto dopo la riunione della Fed.
Ecco alcuni degli eventi più interessanti della prossima settimana:
Lunedì 7/7
11.00 Vendite Retail YoY (maggio): Nell'area dell'euro, le vendite al dettaglio mostrano l'andamento del valore totale dei beni venduti. Tra questi, alimentari, bevande e tabacco rappresentano la quota più elevata. Il dato di aprile ha visto una crescita delle vendite retail del +2.3%.
Mercoledì 9/7
3.30 Tasso di inflazione Cina YoY (giugno): L’inflazione cinese è prevista nuovamente in calo al -0.3%, continuando il periodo deflazionistico che sta affossando parzialmente l’economia cinese.
13.00 MBA Mortgage Applications (4 luglio): Negli Stati Uniti, il sondaggio settimanale sulle richieste di mutui MBA è una panoramica completa del mercato dei mutui a livello nazionale e copre tutti i tipi di operatori del settore, comprese le banche commerciali, gli istituti di credito e le società di mortgage banking. L'intero mercato è rappresentato dall'Indice di mercato, che copre tutte le richieste di mutuo presentate durante la settimana, sia per l'acquisto che per il rifinanziamento. L'indagine copre oltre il 75% di tutte le richieste di mutui residenziali al dettaglio negli Stati Uniti.
20.00 Verbali FOMC: I verbali FOMC contengono importanti informazioni sulla precedente riunione della Fed, fornendo sempre indicazioni sul sentimento che prevale all’interno dell’organizzazione.
Giovedì 10/7
14.30 US Initial Jobless Claims (5 luglio): Le richieste iniziali di disoccupazione hanno un grande impatto sui mercati finanziari perché, a differenza dei dati sulle richieste continuate che misurano il numero di persone che richiedono sussidi di disoccupazione, le richieste iniziali di disoccupazione misurano la disoccupazione nuova ed emergente.
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